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Il trapianto di fegato

Il trapianto di fegato

Intervista al Dott. Stefano Fagioli

Direttore U.O.C. Gastroenterologia
Ospedali Riuniti - BG
Telefono reparto: 035269764

In occasione della Monotematica AISF (Associazione Italiana Studio Fegato) si sono riuniti Begamo, dal 10 al 12 Ottobre, si sono riuniti i maggiori esperti del trapianto di fegato Italiani: Medici, chirurghi, ricercatori, infermieri.

Una occasione importante per fare il punto della situazione sul trapianto di fegato in Italia.

Prendiamo la palla al balzo per fare una intervista al “padrone di casa”, organizzatore della manifestazione Dott. Stefano Fagiuoli, Direttore U.S.C Gastroenterologia e Responsabile  medico del Centro Trapianti di Fegato degli Ospedali Riuniti di Bergamo.

I quesiti sul trapianto sono innumerevoli: troppi per essere compressi in una intervista e quindi cercheremo di trattare quelli che maggiormente ricorrono tra i pazienti.

Dott. Fagioli, complessivamente come può essere giudicata l’attività di trapianto di fegato in Italia?
Credo si possa tranquillamente collocare l’Italia ai vertici mondiali sia per numero di trapianti effettuati che per qualità dei risultati ma soprattutto per rigore, eticità e trasparenza del sistema.

Quali sono i punti deboli che devono essere corretti per aumentare il numero di pazienti che possono sottoporsi al trapianto di fegato?
Certamente l’identificazione precoce dei possibili candidati al trapianto è una strategia vincente. Per ottenere ciò è necessaria una forte collaborazione ed interazione tra centri trapianto, ospedali periferici e medici di medicina generale, per impostare adeguati protocolli di identificazione e sorveglianza.

Quali sono i motivi fondamentali e strutturali per cui le liste di attesa sono così affollate e così tanti pazienti non riescono ad avere il loro organo?
Devo dire che le cose stanno progressivamente cambiando. È vero che ci sono sempre molti pazienti che necessitano di una risorsa che è palesemente scarsa, ma oramai in tutti i centri trapianto i criteri di priorità in lista sono dettati principalmente dalla severità ed evolutività della malattia che dalla data di ingresso in lista, e questo certamente favorisce coloro che ne hanno più bisogno.

Quali soluzioni ipotizza nel medio e lungo periodo?
Innanzitutto bisogna Implementare la corretta selezione dei pazienti, poi credo sia giunta l’ora di creare dei sistemi di lista almeno per macro aree (regionali o interregionali) e non liste d’attesa per ogni Centro trapianto, questo nell’ottica che sia sempre offerta inizialmente al paziente più grave l’opzione trapianto.

Andiamo su domande più tecniche. Che cosa è esattamente uno “scompenso” della cirrosi?
Significa che si rompe il delicato equilibrio che mantiene la minima funzione epatica che garantisce i normali processi metabolici causando l’insorgenza delle complicanze direttamente o indirettamente legate al deficit: sviluppo di ascite, edemi (carenza di sintesi proteica), l’accumulo di bilirubina (deficit metabolici) e/o tossine (encefalopatia epatica), il sanguinamento da varici (ipertensione portale), alterazioni della coagulazione (deficit di sintesi di fattori).

Quali sono i criteri per selezionare un candidato al trapianto, e soprattutto gli stessi criteri sono adottati da tutti i trapianti?
I criteri sono la presenza di insufficienza epatica cronica (o in rari casi acuta), misurata sia con degli score dedicati (Child e MELD) sia definita dalla tipologia e severità delle complicanze sopracitate. Attualmente in italia c’è una buona uniformità almeno sui criteri minimi per essere considerati per trapianto: MELD >10, Child >7, presenza di complicanze altrimenti non gestibili.

In quali occasioni, posto che esistano, alcuni centri adottano valutazioni proprie anziché uniformarsi?
Ci sono delle condizioni, più legate alle specifiche caratteristiche della malattia epatica, che non del centro trapianti, che richiedono delle eccezioni alla regola: ad esempio il prurito incoercibile in alcune malattie colestatiche, dove l’indicazione al trapianto è la scarsa qualità di vita, pur in presenza di funzione generale del fegato ancora adeguata. Oppure delle malattie la cui severità ed evolutività non è ben “pesata” dagli score attualmente in uso: es. la sindrome epatopolmonare o le malattie metaboliche da deficit enzimatici (in queste addirittura il fegato può funzionare normalmente ma non produce uno specifico enzima che causa danno ad altri organi del corpo (ad es. alcune forme di  ipercolesterolemia).

Quali tecniche di trapianto sono attualmente usate nei centri trapianto italiani?
La più frequente è quella del trapianto da cadavere con organo intero. Soprattutto a Bergamo è ampiamente utilizzata la tecnica dello split, in cui il fegato viene suddiviso in due parti, di cui la più piccola va ad un bambino e l’altra ad un adulto. Ci sono anche tecniche per trapiantare 2 adulti dividendo in parti uguali il fegato. C’è poi l’opzione dell’ organo proveniente da un donatore a cuore non battente, dove è più alto il tasso di rifiuto dell’organo (il rigetto) per inadeguatezza funzionale, ma rappresenta un altro modo di ampliare il pool degli organi. Infine c’è la donazione da vivente, dove una porzione di fegato viene asportata da un parente del paziente per effettuare il trapianto : in questo l’Italia si è dotata della normativa certamente più garantista ed all’avanguardia nel mondo con l’ovvio obiettivo di tutelare allo stesso modo sia chi dona che chi riceve.

Se un paziente desidera iscriversi contemporaneamente a più liste di attesa, può farlo?
Assolutamente no

Se un paziente desidera trapiantarsi presso il vostro centro ma proviene da una regione diversa dalla Lombardia, lo accettate?
Se la regione di provenienza non ha un centro trapianti o se nel centro trapianti di riferimento locale non possono effettuare la procedura, il paziente può certamente accedere al nostro programma.

La recidiva da Epatite C dopo il trapianto di fegato che cosa significa? Con quale frequenza avviene, come la si può tenere sotto controllo?
Il termine recidiva è in realtà improprio perché di fatto il paziente rimane con l’infezione HCV e quello che si infetta è il nuovo fegato. Questo avviene sostanzialmente sempre. Quello che è variabile è il grado di severità e di rapidità con cui evolve la infezione / malattia. Questo dipende dalla combinazione di caratteristiche del ricevente (età, condizioni generali, comorbidità), dell’organo (età del donatore, tempi di conservazione, grado di steatosi) e delle procedure legate al trapianto (tempi di intervento, eventi ipotensivi, farmaci immunosoppressori, episodi di rigetto): questi fattori variamente combinati possono condizionare l’evolutività del quadro. In media circa il 20% dei pazienti risvilupperà una cirrosi nei 5 anni dopo il trapianto e questo riduce la sopravvivenza di organo e paziente a 5 e 10 anni dal trapianto di almeno il 10-15%

Quanto può sopravvivere mediamente un paziente trapiantato da cirrosi con HCV ed è possibile effettuare un secondo trapianto se la malattia post trapianto porta ad una nuova cirrosi?
Date le considerazioni fatte sopra si può andare da una sopravvivenza analoga a tutti gli altri trapiantati, a casi di insufficienza del nuovo fegato che insorge precocemente (1 o 2 anni o meno frequentemente alcuni mesi) dopo il trapianto.

Con quale frequenza avviene il rigetto?
Il fatto che vi sia un evento di rigetto sta ad indicare una buona reattività del sistema immunitario e pertanto è una cosa positiva. In realtà un episodio di rigetto si potrebbe osservare in quasi tutti i pazienti. Ma la maggior parte sono clinicamente non rilevanti e non necessitano di trattamenti specifici. Oramai vengono trattati per rigetto circa 15-20% dei pazienti, con ottima efficacia.

Quali farmaci si assumono dopo il trapianto e quali sono le tendenze del futuro?
Ci sono gli immunosoppressori di base (ciclosporina e tacrolimus) più altri farmaci che possono essere affiencati ad essi ed a volte anche sostituirli (cortisone, azatioprina, micofenolato, sirolimus, rapamicina, anticorpi monoclonali ed altri).

E’ possibile che un trapiantato possa vivere senza assumere immunosoppressori?
In effetti ci sono dei pazienti che sviluppano quella che viene chiamata “tolleranza” dei confronti dell’organo trapiantato e possono interrompere la terapia immunospoppressiva: in genere lo si può fare a distanza di anni dal trapianto e con scrupolosissima attenzione per evitare rigetti pericolosi.

Quali prospettive di vita reali e concrete ci sono per una persona che deve sottoporsi ad un trapianto di fegato e come cambia la vita di un trapiantato?
Un trapianto che va a buon fine permette una vita sostanzialmente piena, con la possibilità di procreare, di lavorare, di fare attività sportiva e con una spettanza di vita che progressivamente tende ad allinearsi a quella di coetanei non trapiantati.

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