Classificazioni istologiche di severità dell'epatite cronica C
Molte persone hanno scritto all'Associazione EpaC chiedendo un aiuto per decifrare gli esiti delle loro biopsie. Questo ambito è molto tecnico, e per ogni biopsia serve una consulenza personalizzata; tuttavia vi sono informazioni di pubblico dominio che possono essere utili a paziente per iniziare a capire quantomeno l’entità del danno e a tale scopo pubblichiamo le 3 metodiche più diffuse ed usate per valutare l’entità del danno epatico.
Abbiamo aggiunto inoltre alcuni nostri commenti chiarificatori con il prezioso aiuto del Dott. Claudio Puoti.
Histological Activity Index, KNODELL HAI modificato da Desmet, et al. (Hepatology 1994;19:1513-20) |
Attività necro-infiammatoria (grading: score massimo 18) 0 – 10 periportale, con o senza bridging Fibrosi (staging: score massimo 4) 0 assente |
Histological grading and staging of chronic hepatitis C ISHAK K, et al. (J Hepatol 1994;22:696-9) |
Attività necro-infiammatoria (grading: score massimo 18) 0 – 4 periportale o perisettale (piecemeal necrosis) Fibrosi (staging: score massimo 6) 0 assente |
Histological grading and staging of chronic hepatitis C. METAVIR (Bedossa P, et al. J Hepatol 1996;24:289-93; Poynard, et al. Lancet 1997;349:825-32) |
Attività necro-infiammatoria (grading: score massimo 9) 0 – 2 lobulare focale Fibrosi (staging: score massimo 4) F0 assente |
Commento:
le classificazioni istologiche sono indispensabili per determinare la severità del danno epatico e, ad oggi, non vi sono esami alternativi attendibili che possano sostituire la biopsia epatica.
Senza addentrarci in tecnicismi a volte difficili da decifrare desideriamo sottolineare che tutte le metodiche sopra menzionate sono valide e sono di grande aiuto allo specialista al fine di valutare la severità del danno.
La biopsia epatica viene solitamente richiesta ai soli fini terapeutici, in altre parole quando lo specialista reputa opportuno intervenire con una terapia farmacologia al fine di bloccare l’infezione.
Lo scopo principale è quello di valutare la severità del danno. Può capitare infatti che alcuni soggetti hanno un danno lieve – moderato soprattutto in riferimento all’infiammazione (grading).
In tale caso, se il grading è inferiore ad un determinato punteggio (solitamente è 7) lo specialista ha l’obbligo di non trattare il paziente o comunque di riflettere più del dovuto prima di proporre una terapia.
Se il grado di attività infiammatoria intraepatica (grading) può essere determinante al fine di proporre la terapia, il grado di fibrosi (staging) è ancora più importante, per valutare lo stato generale del fegato: maggiore è il punteggio, più alta è la cicatrizzazione che si è formata e questo è l’indice principale di salute del vostro organo.
In altri termini, il grading è espressione del danno attualmente presente nel fegato, e rappresenta la somma degli eventi di necrosi epatocellulare, infiammazione, presenza o meno di “ponti” di necrosi. Lo staging invece è il film di cosa è successo nel fegato negli anni precedenti, di quanto grave è la cicatrizzazione e di quanto lontana ( o vicina) è la cirrosi.
Ad esempio: possiamo avere una biopsia valutata con metodo ISHAK che indica un “grading 14” (quindi molto alto) ed uno “staging 2”.
Teoricamente ci si potrebbe allarmare, in realtà si tratta di una infiammazione molto florida ma il danno epatico è ancora limitato. C’è anche il tempo per riflettere (non troppo).
Se invece avessimo un “grading 9”, ed uno “staging 5”, non c’è tempo da perdere: il danno al fegato è già notevole e si prospetta una fase di pre-cirrosi, perciò è necessario intervenire subito.
Vi sono ovviamente delle eccezioni e situazioni particolari nelle quali lo specialista a volte può (e deve) assumersi la responsabilità di proporre o non proporre la terapia aldilà delle attuali linee guida e schemi terapeutici.
Poniamo il caso, ad esempio, di un soggetto con attività inferiore a 7 ma con una fibrosi molto avanzata: vale la pena intervenire, e subito al fine di scongiurare la cirrosi.
Poniamo invece il caso di un soggetto che ha una attività non troppo elevata, una fibrosi (staging) assente o quasi (0-1) unitamente a transaminasi lievemente alterate: potrebbe essere il caso di non trattare o di aspettare.
Entra in campo un argomento ovviamente dibattuto: il rapporto costo/beneficio, sul quale non c’è uniformità di pensiero e che spiega in molti casi il motivo per cui un soggetto malato si reca da due specialisti diversi, uno dei quali consiglia la terapia e l’altro la sconsiglia.
Per fare chiarezza, abbiamo interpellato il Dott Claudio Puoti, il quale ci fornisce il suo autorevole parere:
<< La biopsia epatica è una metodica sicuramente semplice, di scarso rischio e con minimi effetti collaterali. Tuttavia, non va mai dimenticato che si tratta di un esame cruento, invasivo, con dei suoi rischi intrinseci, dei costi economici per la collettività anche non indifferenti. In altri termini, la biopsia epatica non va drammatizzata come esame, ma neppure sottovalutata, e soprattutto va effettuata quando effettivamente serve nell’interesse del paziente.
In base alle attuali norme ministeriali, il trattamento antivirale può essere prescritto in pazienti affetti da epatite cronica HCV correlata istologicamente documentata e con transaminasi elevate.
Ciò significa che ai fini di un trattamento con IFN è necessaria la conoscenza della istologia. Perché questa disposizione? Essenzialmente la norma nasce dal fatto che in molti casi di epatite cronica anche con ALT elevate il danno epatico è davvero minimo (grading di 1-3) con fibrosi assente o minima (staging 0 o 1), per cui – in considerazione del rischio minimo di evoluzione di malattia – si può anche evitare un trattamento pericoloso ed impegnativo come l’ IFN in questi casi.
Al contrario, può anche capitare che livelli relativamente modesti di ALT (1,3-1,5 il normale) si associno a grading piuttosto elevati , per cui quel trattamento che sarebbe stato evitato in base al solo dato biochimico si impone alla luce della severità della istologia.
Una riflessione a parte meritano i portatori di HCV con livelli di ALT sempre nella norma. Si deve precisare che questi soggetti devono essere definiti in base ai seguenti requisiti:
1. ALT SEMPRE nella norma (vale a dire che anche un solo valore fuori scala impedisce la definizione)
2. ALT nella norma per un periodo minimo di osservazione di 18-24 mesi
3. nessuna alterazione degli altri dati di laboratorio
4. assoluta normalità della ecografia
5. assoluta negatività dell’esame obiettivo
6. assenza di segni o sintomi di malattia epatica
I dati della letteratura sono concordi nel ritenere che:
1. la percentuale di fegato sano (veri portatori sani) è bassa (0-20%)
2. in oltre 75-80% dei casi il danno epatico è minimo
3. nel 5% dei casi può essere presente epatite severa.
Alla luce di tali dati, non è chiaro se tali soggetti debbano essere trattati o meno. In linea di massima, e in attesa dei risultati di alcuni trials internazionali, non vi è indicazione la trattamento, e la biopsia epatica andrebbe effettuata solo in casi selezionati (ad esempio, necessità di iniziare terapie epatotossiche, forte motivazione del paziente, ecc).
Al di là comunque delle linee guida, la effettuazione della biopsia e il trattamento con IFN devono essere proposti in base al buon senso ed alla logica clinica.
Considerando i tempi lunghi di evoluzione a cirrosi, è chiaro che non è logico biopsiare o trattare un settantenne con ALT anche elevate e magari indurgli scompenso cardiaco o peggiorargli la qualità di vita. Allo stesso modo, anche se il trattamento con IFN può essere in dubbio ( ad esempio, ALT 1,3 volte il normale) può essere logico chiedere la biopsia in un 20nne che ha tutta la vita davanti, al fine di capire la possibile rapidità di evoluzione della malattia >>.